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domenica 6 maggio 2012

Questa è la grinta giusta.

Ieri ho visto una bellissima Roma: vibrante, viva, dinamica, vogliosa, grintosa, arrabbiata. Ho visto 14 giocatori pronti a dare tutto per la maglia: ho visto un danese in evidente crescita sfondare i muri della timidezza e dell’insicurezza per andare in anticipo nella metà campo avversaria, nelle zone di Heinze, superare in velocità due avversari e cercare un cross con il sinistro; ho visto Pjanic in ripresa lottare su ogni pallone; ho visto Gago lottare su ogni pallone; ho visto Bojan volare come una farfalla, vicinissimo ad una puntura velenosissima, e alzare i ritmi con tecnica e grinta; ho visto Lamela con il sangue agli occhi, sbattersi per terra e dare pugni al terreno dopo il gol mangiato, quando di solito si metteva la maglia sul volto e tornava nella sua zona di competenza; ho visto Totti entrare nel secondo tempo con una grinta pazzesca, devastante, che non si vedeva da tantissimo tempo; ho visto un Capitano giocare per il proprio allenatore, senza se e senza ma; ho visto un esterno sinistro sbattersi per tutto il campo, cercando continuamente lo spunto giusto per lui e per i compagni; ho visto Lobont gridare come il più grande dei condottieri; ho visto una panchina completamente abbracciata al tecnico, che ha passato 90′ ad incitare i propri compagni. Se la Roma avesse messo questa grinta in tutte le altre partite, ora avremmo avuto almeno 5-6 punti in più. E’ evidente, chiaro come la luce del Sole, che i ragazzi abbiano cominciato a metterci grinta nel momento in cui Luis Enrique ha dichiarato di essere dubbioso sul proprio futuro. Personalmente credo che il più grande errore di dirigenza e tecnico sia stato quello di non responsabilizzare i giocatori: nel momento in cui è successo, è cambiato totalmente l’approccio alla gara. Contro il Napoli ci siamo ripresi negli ultimi minuti un match che stavamo immeritatamente perdendo; contro il Chievo, su quel campo, era difficile uscire con un risultato positivo, eppure la Roma ci ha provato fino alla fine; ieri sera la squadra poteva vincere 3-4 a 0 con buona pace di tutti, ma c’è da sottolineare un momento: terribile 1-2 del Catania, la partita sembrava finita, Roma spezzata e via al contropiede degli etnei; e invece no. I Giallorossi hanno corso il doppio ed hanno coperto tutte le zone del campo, riagguantando il risultato e rischiando di andare in vantaggio in almeno 3 diverse occasioni. Quando l’arbitro ha fischiato la fine del match, i giocatori della Roma avrebbero voluto picchiarlo: doveva durare di più, non doveva finire così quell’incontro. Questo è quello che si è letto nei loro movimenti. Quelli del Catania hanno tirato un sospiro di sollievo lungo fino alle 4:00 di notte. Ieri la Roma ha giocato una partite in stile Juventus, quella di Conte. E’ un vero peccato non aver vinto l’incontro di ieri, perchè l’Europa League era ad un passo e, verosimilmente, con 6 punti saremmo andati sicuramente al 6° posto. Per quanto mi riguarda, un’idea sulla querelle Luis Enrique me la sono fatta: secondo me vuole rimanere, vuole restare a Roma a guidare i propri ragazzi ed ultimamente ha voluto responsabilizzare i ragazzi, mettendo (più del solito) in discussione il proprio lavoro, il proprio futuro. Questa è la mia impressione. Sicuramente è vero che sta riflettendo sulla possibilità di andare via, ma non è menefreghismo, non è vigliaccheria, anzi. E’ qualcosa di estremamente insolito: non vuole rubare lo stipendio, vuole essere in grado di poter essere un valore aggiunto per la squadra, non vuole sentirsi un peso. La squadra è con lui: non ho mai, e sottolineo MAI, visto una squadra tanto affezionata ad un tecnico. Non ho MAI visto Totti rilasciare dichiarazioni come quelle di ieri sera. Non ho MAI visto una squadra riporre tanta fiducia nel proprio allenatore. Dopo tanti allenatori dimissionari per un gruppo di calciatori ingestibile, credevo fosse impossibile vedere questa squadra lottare per il proprio tecnico. E qualcosa vorrà dire: con qualche miglioria dal punto di vista tecnico, un gruppo così unito non può che arrivare al successo. I giocatori vogliono solo mister Garcìa. Direi proprio che Luis Enrique “una squadra” è riuscito a formarla. Ieri era l’ultima all’Olimpico: era l’ultima anche di molti giocatori della Roma a Roma. I nomi si sanno: molti giocatori, dopo tanti anni di Roma, lasceranno la maglia Giallorossa. Giocatori che quella maglia l’hanno accettata in momenti difficili, in momenti in cui la Roma non era allettante e ricca come oggi; giocatori che hanno onorato quella maglia in campi nazionali ed europei, uscendo perlopiù delle volte sconfitti, ma con la maglia zuppa di sudore. Un saluto, sincero, a giocatori che sembravano non dovessero lasciare mai Trigoria, la Roma, Roma.
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Non arriva neanche l'ultima gioia

Quando Totti e De Rossi sono andati sotto la Curva con i figli accanto erano rimasti in pochi, i più fedeli: un buon finale aveva tolto ai tifosi persino la voglia di arrabbiarsi o contestare. Di applaudire, a parte il Capitano e il suo vice, non se ne parlava. D’altronde la stagione è quella che è. E Roma-Catania (2-2) non ha aggiunto nulla, è rimasta sospesa, un risultato che non serve a niente e nessuno: nuovo ciclo, nuovi proprietari, una dozzina di acquisti e alla fine è sempre Totti che salva da Roma e dopo averci messo la faccia dopo il pari contro il Napoli ci mette i piedi (sinistro e poi destro) contro i siciliani. La cronaca della partita, invece, racconta, dopo il doveroso omaggio a Giorgio Rossi, di un primo tempo povero di emozioni e di una ripresa, quantomeno, più viva. Totti, come detto, protagonista nel male – sbaglia un rigore – e poi nel bene. E’ da lui che parte la prima occasione: Pjanic viene mandata in porta con un passaggio filtrante ma il bosniaco di destro calcia incredibilmente a lato. All’8’ rigore per la Roma: Osvaldo tira, Carrizo ribatte, sul pallone si avventa Pjanic che stretto tra i difensori del Catania cade a terra. Per Peruzzo è rigore, sul dischetto va Totti. E a conferma che questa è un’annata stregata il Capitano non solo si fa respingere il tiro, ma sulla respinta calcia alto con la porta spalancata. Il Catania prova a farsi vedere con Lebrottaglie che mirascolosamente entra in area e di destro scarica addosso a Lobont, consentendo poi a Marquinho di spazzare. I due portieri sono i protagonisti della serata: alla mezzora è Gago a tentare da fuori area ma Carrizo è attento. Bravo il portiere argentino, bravissimo Lobont che al 40’ è ancora costretto a respingere d’istinto il tap in da due passi di Bergessio. Il primo tempo scivola via così, c’è tempo al 43’ per una gomito alto di De Rossi su Barrientos e per un fallo dello stesso argentino su Marquinho. Nel secondo tempo il copione cambia: Totti si danna l’anima per farsi perdonare l’errore ma Carrizo è sempre attento. Il portiere argentino però non può nulla quando al 7’ il Capitano dal limite dell’area prende la mira e col sinistro, proprio il piede con cui aveva mandato alto la ribattuta sul rigore, mira al palo destro. Gol sotto la Sud e baci a moglie, figli e maglia. In una parola: la vita. Cinque minuti e Peruzzo assegna un altro rigore per un fallo di Heinze – ammonito, salterà Cesena – su Barrientos. Sul dischetto va Lodi che spiazza Lobont e pareggia i conti. Luis Enrique al 18’ cambia: fuori Osvaldo, dentro Bojan. E’ il Catania però a passare in vantaggio su schema da calcio d’angolo: passaggio indietro a Marchese che parte da casa sua e in corsa col sinistro batte Lobont. L’Olimpico non ha neanche più la forza di fischiare, il tecnico spagnolo prova a dare ancora una scossa mettendo Lamela al posto di Borini per i 20 minuti finali. Ci deve pensare ancora Totti al 32’ a pareggiare i conti: Marquinho sulla trequarti apre per Pjanic, cross in mezzo per il Capitano che di destro in corsa solo davanti a Carrizo non sbaglia. Sbagliano invece prima Bojan, pallone alto sopra la traversa, e poi Pjanic che invece di servire un compagno tira addosso al portiere. La Roma prova in tutti i modi a vincere perché sa che un pareggio sarebbe inutile e la condannerebbe a restare fuori dall’Europa. Incredibile a 6’ dal termine quello che si divora Lamela, lanciato benissimo da Bojan e solo davanti a Carrizo che senza difficoltà respinge di piede il sinistro del connazionale. Tutta la panchina della Roma segue in piedi gli ultimi minuti e quando Peruzzo non dà il rigore per un fallo di Legrottaglie su Bojan lanciato a rete i romanisti impazziscono.

Roma, non basta Totti

Ancora fischi. Per il terzo pareggio di fila che certifica il fallimento della Roma di Luis Enrique. Con tre punti nelle ultime cinque gare è quasi impossibile per i giallorossi ottenere la qualificazione per l’Europa League. Aritmeticamente, con un turno ancora da giocare, possono ancora farcela, ma la stagione è comunque da bocciare. Anche il Catania di Montella rischia di vincere all’Olimpico: finisce 2 a 2, solo perché Francesco Totti ancora una volta è la ciambella di salvataggio di questo club. Il capitano, dopo essersi fatto respingere un rigore, realizza una doppietta: sono 8 i suoi gol in campionato, 215 in serie A e 270 in assoluto. In tribuna, per l’ultima partita casalinga del torneo, c’è anche il presidente DiBenedetto. Lascerà amareggiato e preoccupato lo stadio. Luis Enrique sfigura davanti all’ex Montella, scaricato con un po’ troppa precipitazione dai dirigenti italiani scelti dal consorzio statunitense per aprire la nuova éra. Totti, sino all’ultimo, dà una mano al tecnico asturiano: il capitano, entrato in campo tenendo per mano i figli Cristian e Chanel e messo al terzo davanti alla porta Pjanic che si perde sul più bello, ha subito la possibilità di festeggiare la cinquecentesima presenza in A. Al nono, però, si fa parare un rigore da Carrizo che lo aveva provocato. Su cross di Osvaldo, l’ex portiere della Lazio era franato addosso a Borini, chiamando l’intervento dell’arbitro Peruzzo. Totti, nella stessa circostanza, sbaglia due volte, perché sulla respinta dell’argentino, a porta vuota, calcia alto di sinistro. Per un quarto d’ora la Roma è abbastanza brillante. E dipende, nel bene e nel male, dalle giocate proprio di Totti che, entrando in area, calcia forte di destro in diagonale, con Carrizo pronto stavolta a usare il piede destro. Il capitano dovrà aspettare la ripresa. Montella, 10 anni e 102 reti in giallorosso, riceve gli applausi del pubblico dell’Olimpico che non dimentica. E’ tra i candidati per la panchina giallorossa e ci tiene a far bella figura. Il suo Catania, salvo da un bel pezzo, è però sazio. Nella prima parte, approfittando della staticità della Roma, costruisce lo stesso tre occasioni da rete con Bergessio, Legrottaglie e Gomez con Lobont che si fa ringraziare dai compagni. Nel finale di tempo tiri di Gago, bravo Carrizo ad alzare sopra la traversa, e Borini, a lato, prima dei fischi dei tifosi giallorossi che non approvano la prestazione giallorossa. Carrizo è il grande protagonista della ripresa. Devia in angolo un sinistro di Totti che al settimo, su appoggio di Gago, lo supera, sempre di sinoistro, da fuori area, senza nemmeno dargli il tempo di buttarsi: 1 a 0 e bacio del capitano verso la famiglia in tribuna, gli risponde, con lo stesso affetto, anche il presidente DiBenedetto. La Roma, però, si ferma. Allungandosi, permette al Catania di organizzarsi e di avanzare con disinvoltura. Heinze stende in area Barrientos e Lodi trasforma al tredicesimo il rigore dell 1 a 1. Moreno, il vice di Luis Enrique, spiega a Bojan, in panchina e usando l’iPad, che cosa fare. Dentro lo spagnolo per Osvaldo, abbastanza sorpreso. Ma lo schema giusto è quello di Montella: punizione da destra di Lodi, e rigore in movimento per Marchese che, un passo dentro l’area, firma di sinistro il momentaneo sorpasso al ventiduesimo. Spazio a Lamela, fuori Borini. Ma è ancora Totti, al trentaduesimo, a tenere la Roma in corsa: Marquinho apre a sinistra per Pjanic che offre al capitano la palla del 2 a 2 davanti alla porta. La Roma va all’assalto. Carrizo è straordinario sul destro di Bojan da fuori e per due volte di piede su Lamela, lanciato dallo spagnolo, e su Pjanic che poi lascia il posto a Simplicio. Bojan subisce la spinta di Legrottaglie, ma Peruzzo non concede il secondo rigore alla Roma. Il mental coach Llorente, pronto a condannare Delio Rossi via Twitter, si fa cacciare per le proteste esagerate e conclude nel modo peggiore la sua prima (e unica?) stagione romana. Totti e De Rossi con le figlie Chanel e Gaia vanno a salutare i tifosi della Sud, applauditi in precedenza solo da Lobont e Taddei. I loro compagni evitano la passerella per non prendere altri fischi. Che la Roma tutta merita per l’annata davvero deludente.

sabato 5 maggio 2012

Lucho, l’ultima all’Olimpico

Quella di stasera, ore 20,45, contro il Catania e il grande ex Vincenzo Montella, potrebbe essere l’ultima partita all’Olimpico di Luis Enrique sulla panchina della Roma. Anche se l’allenatore asturiano ha confermato che incontrerà i vertici della società a campionato finito, dopo l’ultima partita a Cesena, domenica 13 maggio, sono sempre di più i segnali del suo addio. Ieri, per esempio, Luis Enrique ha parlato per la prima volta di problemi per la sua famiglia, un tema annunciato dal d.s Walter Sabatini nel dopo partita contro il Chievo. E, a questo punto, non sembrano proprio parole dette per caso: «Ancora non so se andrò via. Il motivo dei miei dubbi? Perché si tratta di un cammino non facile, che ha avuto effetti sulla mia persona e sulla mia famiglia, cose per me importanti». Non è stata un’avventura facile per il tecnico: «Di sicuro non mi aspettavo una stagione più difficile di così, ma non è questa la conferenza adatta per parlare del mio futuro. Non interessa neanche a me, il mio futuro. Mi interessa solo quello della Roma. Siamo ancora in lotta per l’Europa League, questo conta». Ma qualcosa sembra essersi rotto con una fetta consistente dei tifosi: «È fondamentale il rapporto tra tifosi e squadra, altrimenti non si va avanti. La gente crede ancora in me? Chiederò a mia moglie di portare uno striscione di 150 metri con scritto "Luis, sei un grande" e dall’altra parte una signora a cui non piaccio ne può portare un altro con scritto "Luis, sei una merda". Valutare semi insultano in pochi o in tanti è difficile. Normalmente si sente di più chi urla e fischia». Tifosi che sono la forza della Roma—Luis Enrique lo ha sempre detto — ma che non lo faranno deviare dalla sua idea di calcio: «Quando sono arrivato, la prima cosa che mi hanno chiesto i tifosi è stata: "falli correre e fuori le palle!". Ma quando non ho fatto giocare Totti o De Rossi, si è montato un casino. Ma chi vede gli allenamenti? Chi sa come si comportano i ragazzi? Chi deve scegliere la formazione? Io. Sono io quello che deve prendere le decisioni». Comprese le punizioni a Osvaldo (schiaffo a Lamela) e De Rossi (ritardo a una riunione tecnica): «E lo rifarei perché solo costruendo un gruppo puoi vincere. Ho messo il gruppo davanti ai miei stessi interessi. Da allenatore era meglio far giocare De Rossi, a Bergamo, ma nessuno può essere più importante della squadra. Nemmeno Messi. Un calciatore ti fa vincere una partita, una squadra ti fa vincere i titoli. Forse è strano, ma è il mio pensiero». Un pensiero che si è scontrato con il monolite che si chiama calcio italiano e all’italiana.

Giorgio Rossi: «Il mio ultimo giro di campo»

Salutiamo Giorgio a nostra volta convinti che non ci sia nessun addio da esorcizzare visto che il “primo della fila” rimarrà sempre nella grande famiglia giallorossa, ma certamente è doveroso gettare uno sguardo ad una storia che salvo miracoli rimarrà un caso unico non solo nella vicenda giallorossa ma in quella del calcio professionistico italiano. Il viaggio di Giorgio Rossi nella Roma è iniziato, guarda caso, alla stazione Termini, alle ore 7.35 del 16 agosto 1957. Come da programma, era esattamente a quell’ora che il giovane massaggiatore sarebbe stato a disposizione della rappresentativa giallorossa in partenza per il torneo di Sanremo. Avrebbe dovuto trattarsi di una collaborazione di pochi giorni, giusto il tempo di permettere a Roberto Minaccioni di fare una decina di giorni di ferie e poi “Arrivederci e grazie”. Il “viaggio” di Giorgio, invece è durato un pochino di più, 55 anni, un’eternità. Anche se oggi, per lo spessore del personaggio, siamo qui addirittura a rammaricarci che non abbia deciso di andare avanti ancora un po’. D’altra parte era almeno da 25 anni che, di tanto in tanto, Giorgio bisbigliava: “Ancora un anno poi vado in pensione”, un quarto di secolo in cui l’affetto che lo circondava, la passione per il lavoro, il carisma esercitato dal suo stesso ruolo, gli hanno continuamente imposto di rinviare la sua decisione. Per capirne l’incredibile longevità basta tornare per un secondo ai giorni del suo esordio. Allenatore della Roma nel torneo di Sanremo dell’agosto del 1957 era Guido Masetti, l’Inter che i giallorossi si trovarono in finale vedeva invece in panchina un certo Peppino Meazza. Quello che per la quasi totalità degli sportivi è solamente un totem della storia del calcio italiano, per Giorgio è stato un avversario in carne e ossa. Della sua “eterna” galoppata, rimangono scolpiti in un basamento d’oro gli anni del ciclo di Liedholm e Viola. Nella foto ufficiale dei campioni d’Italia 1983 è seduto accanto a Vierchowod, “mito” tra “miti”. Si racconta che ad Udine l’armadietto utilizzato da Zico per anni sia stato guardato dai nuovi bianconeri con reverenza, quasi soggezione. Beh, anche svuotare l’armadietto di Giorgio Rossi sarà impossibile, c’è dentro troppa storia, troppo amore, troppa passione. La Roma e i suoi tifosi (che tra gli altri vedono Enzo Del Poggetto e il suo Roma Club Eur Torrino in prima fila per orchestrare il saluto dagli spalti dell’Olimpico) non possono che accettare la scelta di Giorgio. Oggi però, se potete, fate un salto allo stadio, non perdete l’occasione di ringraziare questo straordinario personaggio.
Giorgio Rossi, 81 anni, 55 di Roma e 2 scudetti, è vero che stai per andare in pensione?
E’ vero … questa volta ci siamo.
Stato d’animo?
Sono sereno, è chiaro che un po’ di tristezza c’è, ma è una mia scelta. La Società con me è stata molto comprensiva, hanno capito che in questo momento avevo bisogno di essere più presente in famiglia, di dedicarmi ad altre cose… e poi, stavo rimpolpando le finanze dello stato a forza di lavorare.
Sembra che per domenica si stia allestendo una grande festa con tanto di giro di campo e premiazione da parte di Totti, De Rossi e Perrotta.
Beh, il giro di campo sarebbe una bellissima cosa… Oh, però mi devono dare la macchinetta perché a piedi non ce la faccio (sorride, ndr). Scherzi a parte, me lo ha comunicato Tonino Tempestilli proprio stamattina, la Società ci tiene e figurati quanto ci tengo io, è un riconoscimento bellissimo, un grande onore. Poi sarà una bella occasione per salutare i tifosi. A Trigoria invece organizzerò un piccolo rinfresco per dare non l’addio, ma l’arrivederci a tutti i giocatori e allo staff al completo.
Domenica a salutarti ci sarà anche Vincenzo Montella, un segno del destino.
Sì, con Vincenzo c’è sempre stato un bellissimo rapporto, quando lo vedrò glielo dirò: “A Vincé, abbiamo fatto tante partite insieme, mancava questa”.
La prima cosa che ti viene in mente ripensando alla tua storia nella Roma?
Non è facile dirlo, ci sono tante cose belle, ma anche quelle che mi sono rimaste sul gozzo… Il Liverpool, Roma–Lecce. E’ normale che uno vuole sempre di più e mi piacerebbe levarmi da tifoso tutte quelle soddisfazioni che ancora mi mancano.

venerdì 4 maggio 2012

500 volte Totti

Lo stadio Olimpico lo aspetta per dedicargli un boato appassionato, un nuovo canto, una coccola in più. Anche quando la Roma va male, o malissimo, Francesco Totti è il mito che nessun tifoso si sogna di fischiare: sarebbe quel peccato di tracotanza che agli umani dell’antica Grecia non era perdonato (ybris). E così, domani sera, l’attrazione principale di una partita che il popolo romanista vivrà con indifferenza sarà ancora quel vecchio ragazzo con la maglia numero 10. Totti gira un altro angolo speciale di una carriera ineguagliabile: 500 partite in serie A, naturalmente tutte con la maglia della Roma. Vincenzo Montella, che proprio domani torna a casa con il Catania, non è fortunato perché i giusti applausi che la Curva Sud gli ha preparato verranno oscurati dalla festa che merita il Giocatore. Il simbolo che anche oggi, a 35 anni e mezzo, rende riconoscibile la Roma nel mondo.
EMOZIONE -Ci saranno papà Enzo e mamma Fiorella, ci sarà il fratello Riccardo, non mancheranno Ilary e i figli Cristian e Chanel. Tutti con gli occhi innamorati, emozionati e concentrati su di lui. Totti non ha organizzato celebrazioni per rispetto dei compagni e dell’allenatore, in tempi di contestazione (forse qualche sorpresa arriverà dalla società...) e di rabbia popolare. Ma si godrà l’abbraccio ideale del suo mondo. «Sono felice di questo nuovo traguardo - dice - e non voglio fermarmi qui. La partita più bella di tutte? Facile, quella dello scudetto...». Cioè Roma-Parma, 17 giugno 2001, un sogno che Totti spera di rivivere prima di smettere.
LA SCALATA -Intanto può assaggiare l’ingresso nell’elite dei calciatori più longevi di sempre. A quota 500, Totti aggancerà Ciro Ferrara all’undicesimo posto. E l’anno prossimo, a 20 anni di distanza dall’esordio contro il Brescia, potrà puntare dritto verso la decima posizione, occupata da Giuseppe Bergomi che si è fermato a 519, e forse anche la nona che appartiene a un altro fuoriclasse-bandiera a cui spesso Totti è stato paragonato: Gianni Rivera (527).
L’EQUIVOCO -Si è discusso sulle cinquecento partite in A, perché in certe classifiche Totti risulta essere arrivato a 498. Ma qualcuno, erroneamente, non considera la sua presenza contro la Sampdoria nell’ottobre 2008: sospesa dopo pochi minuti sullo 0-0 per una tempesta di pioggia che aveva inondato il campo dell’Olimpico, la partita fu continuata senza Totti. Che però nel primo spezzone c’era. E quindi ha diritto ad essere considerato “presente” a tutti gli effetti.

giovedì 3 maggio 2012

Roma-Villas Boas, attrazione fatale

I fatti, prima di tutto. Ieri mattina l’edizione on line di «A Bola», ha dato per fatto l’accordo tra la Roma e André Villas Boas per la prossima stagione, specificando che la notizia ufficiale «arriverà solo dopo la fine del campionato italiano». Il quotidiano sportivo di Lisbona, sempre ben informato su tutto ciò che gravita intorno al calcio portoghese, ha aggiunto un ultimo particolare: Villas Boas, portoghese, 35 anni, ex «tattico» di José Mourinho all’Inter, vincitore di tutto il possibile con il Porto nel 2010-2011 (Europa League, campionato, Coppa nazionale e Supercoppa del Portogallo) ma esonerato in questa stagione dal Chelsea, avrebbe rifiutato un’offerta del Valencia spiegando di aver già trovato un accordo con la Roma. Poco dopo l’ufficio stampa di Mediaset Premium ha messo in un comunicato stampa le dichiarazioni di Walter Sabatini, direttore sportivo della Roma, rilasciate nel dopo partita contro il Chievo. Una mossa mediaticamente astuta, visto che la partita si è giocata il primomaggio e il giorno dopo non sono usciti i giornali: «Questo è un pensiero mio, non è riconducibile a nessuna sua dichiarazione, ma penso che Luis Enrique stia pensando all’ipotesi dell’addio. Non sente il sostegno per se stesso e così non pensa di poterlo trasferire alla squadra. Non vuole mettere la Roma, squadra e società, in una situazione di squilibrio. Il prossimo passo della società è quello di confrontarci con Luis Enrique, cercare di capire quali siano le sue reali motivazioni e cercare di convincerlo. Luis Enrique è un ragazzo esageratamente onesto, stato molto orgoglioso di allenare la Roma e lo è anche oggi: deve decidere serenamente. Non vogliamo pressarlo oltre misura, perché lui sa quello che è meglio per se stesso e per la sua famiglia. Noi vogliamo che lui rimanga, ma se così non sarà faremo altre scelte: cinque minuti dopo l’ultima partita di campionato cominceremo a progettare il futuro». In un secondo tempo sono arrivate smentite sull’accordo, persino da «A Bola», ma si tratta di frasi di circostanza. Il contatto tra la Roma e l’allenatore c’è stato, approfondito, e Villas Boas ha dato una specie di prelazione alla società giallorossa. Anche l’Inter si è fatta sentire con l’agente del tecnico e, anche se al momento il presidente Moratti sembra conquistato da Stramaccioni, i nerazzurri possono essere un rivale agguerrito. Ma i rapporti di Baldini e Villas Boas, che in estate era la sua «prima scelta», ben prima di Luis Enrique, possono fare la differenza. «Per ora non posso confermare le voci di queste ore sul presunto accordo tra Villas Boas e la Roma — ha detto Carlos Goncalves, agente del tecnico, ai microfoni di Rete Sport —. In questo momento Villas Boas è in vacanza e non ha ancora preso una decisione. Si era parlato di lui già tempo fa, accostandolo alla società giallorossa, e di sicuro lui sarebbe onorato di guidare una società così importante. Ma è presto per parlarne». La scelta di Villas Boas toglierebbe tutti dall’imbarazzo: Luis Enrique potrebbe tornare in Spagna (al Valencia?) e Baldini non tradirebbe il progetto. Il mercato? Rolando, difensore centrale del Porto, si è già proposto. A Villas Boas basterebbero quattro o cinque acquisti di qualità: due esterni di difesa, un difensore centrale, un intermedio di centrocampo, un attaccante in caso di ritorno di Bojan a Barcellona.

De Rossi: "Un anno così ok ma adesso basta"

Solo un punto contro il Chievo al Bentegodi, sotto il diluvio e un terreno quasi impraticabile: lo 0 a 0 di Verona non serve alla Roma, ormai lontana dall’Europa. Le assenze pesano almeno quanto le condizioni del terreno: Luis Enrique affronta come può l’emergenza, ritrovandosi senza Osvaldo e Lamela squalificati, senza Stekelenburg (è in Olanda, ufficialmente per lo scudetto dell’Ajax: stagione finita) e Lobont (il rumeno si arrende nel riscaldamento, per colpa del solito ginocchio: è recuperabile per il Catania), senza Pjanic che resta in panchina per un problema alla caviglia, con Bojan che regge un tempo, con Taddei che va in campo con la febbre e con Kjaer che dopo 70 minuti chiede il cambio per un affaticamento all’adduttore. I giallorossi non concludono mai in porta, ma sono attenti e ordinati: Kjaer è il migliore, Curci decisivo per una chiusura nel primo tempo su Hetemaj, Tallo, alla terza gara di fila in A, dimostra di avere personalità, fisico e tecnica. Totti si spegne dopo un’ora passata a controllare i palloni che i compagni, per respirare, gli sparano addosso: prima di stancarsi fa salire gli altri. Da registrare i progressi di De Rossi che, quando esce Kjaer ed entra Perrotta, arretra in difesa. Il Chievo festeggia la salvezza, la Roma torna a casa delusa perché il settimo pareggio in campionato (secondo di fila e ottavo stagionale) e due punti nelle ultime quattro gare certificano il flop in questa stagione. De Rossi tira le somme: «Non abbiamo perso terreno pareggiando contro il Chievo. È in passato che abbiamo fallito dove dovevamo dare il colpo di coda. Per l’Europa Legaue non è finita, ma il problema è che non vinciamo mai». Daniele si prepara all’addio di Luis Enrique: «Non è solo colpa sua, abbiamo sbagliato tutti. Sapete quanto sono legato a questo allenatore, ma a calcio si gioca anche senza Luis Enrique, come abbiamo fatto quando andò via Spalletti». Ora si aspetta una svolta. Nei risultati e negli investimenti: «Un anno di transizione lo avevo messo in preventivo, ma adesso basta». Luis Enrique se la prende con il campo e replica a De Rossi. «Non era una partita di calcio, si vedeva. Calcio vero era impossibile farlo. Così è pallanuoto. Daniele sa che qualche partita l’abbiamo vinta..». Confermata la seconda amichevole negli Usa: il 22 luglio a Chicago contro il Fulham.

Avanti e Andrè

Luís André de Pina Cabral de Villas-Boas, cioè André Villas Boas, ha un anno e una manciata di giorni meno di Francesco Totti, il capitano della Roma. Giovane, dunque? Giovanissimo, l’allenatore portoghese. E predestinato, s’è sempre detto, forse perché, animato da una passione infinita e da una voglia di affermarsi a livelli di record del mondo, ha bruciato professionalmente ogni tipo di tappa, arrivando - per dirne una - a prendere il patentino di allenatore Uefa C quando ancora era minorenne, cosa rarissima, quasi impossibile. La leggenda racconta che AVB sia il figlioccio di José Mourinho, al punto di meritarsi l’etichetta di Special Two, ma in realtà il suo punto di riferimento è sempre stato Bobby Robson, suo coinquilino a Oporto quando il tecnico inglese guidava il Porto. Da osservatore è via via diventato prima collaboratore sia di Robson che di Mou poi allenatore: ct delle Isole Vergini dal 1999 al 2001, due partite e due sconfitte; tecnico del Porto Under 19, 24 vittorie in 27 partite, poi nello staff di Mou e una volta mollato (con tanto di grossa litigata) Mourinho a Milano, tecnico dell’Academica de Coimbra, campionato portoghese, salvata con una mezza impresa. Quindi Porto (campionato, Coppa di Portogallo, Supercoppa portoghese e Europa League) prima del passaggio al Chelsea, ingaggiato da Roman Abramovic in cambio di 15 milioni di euro al Porto e 2,5 milioni di sterline nette a stagione (contratto triennale) per lui. Un’avventura finita (male) il 4 marzo scorso, con l’esonero dopo la sconfitta di Napoli in Champions League. Proveniente da una famiglia più che benestante, non ha mai giocato seriamente al calcio, parla correttamente quattro lingue (lo scorso anno ha conquistato Franco Baldini declamando l’intero Amleto in inglese), è sposato dal 2004 con Joana Maria Noronha de Ornelas Teixera, ha due figli, Benedita, nata nel 2009, e Carolina, che ha un anno di meno. Il fratello Joao Luiz è un noto attore portoghese; il padre ha un nome chilometrico, Luis Filipe Manule Henrique do Vale Peixoto de Sousa e Villas-Boas; la madre d’origini inglesi si chiama Teresa Maria de Pina Cabral e Silva. È socio del Porto dal 1979, cioè da quando aveva due anni, con tessera numero 11.428. Al Chelsea non s’era portato un vero e proprio collaboratore, ma il suo gruppo di lavoro è composto da tre assistenti, Victorio Pereira da Silva, José Mario Rocha Gomes e Pedro Emanuel, e da un preparatore di portieri, l’olandese Will Coort. Profeta del 4-3-3, integralista in maniera esagerata, al Chelsea ha pagato il pessimo rapporto con la vecchia guardia di Stamford Bridge e, soprattutto, una fase difensiva approssimativa. Lo descrivono come un presuntuoso, un maniaco dei computer e del calcio teorico ma anche come uno che non si ferma mai («Lavora quindici ore al giorno», diceva Mou), profondo conoscitore di tutti i calciatori d’Europa schedati per caratteristiche tecniche e tattiche. Non rilascia interviste esclusive, ma parla soltanto in conferenza-stampa. E, tranne che a Londra, finora ha fatto soprattutto parlare il campo.