Quickribbon Il silenzio dura un minuto e il derby finisce in rissa

domenica 12 aprile 2009

Il silenzio dura un minuto e il derby finisce in rissa

Spalletti e Tare litigano prima in campo e poi in diretta tv
Spinte, duelli, colpi di testa senza pallone. Il derby che qualcuno non avrebbe voluto giocare deraglia non appena il fischio del signor Morganti alza il sipario su una stracittadina che è sconfinata in qualcosa che assomiglia alla vergogna. Senza scomodare la facile retorica, sono gli stessi protagonisti ad essersi resi conto che il copione seguito è entrato in rotta di collisione con il minuto di silenzio dello stadio con il cuore alla tragedia in Abruzzo. Poche le voci del dopo gara, ma assordanti. «Chiediamo scusa per l’inguardabile spettacolo offerto con i nostri atteggiamenti...», dice il folletto laziale Foggia. «Ho sbagliato anch’io...», sussurra il condottiero giallorosso Spalletti. Sullo sfondo, un brindisi laziale inatteso. Molti gli attori fuori posto, molte le immagini da aggiustare a cominciare dai numeri cerchiati in rosso come i cartellini dell’arbitro e ora giudici implacabili del pomeriggio dell’Olimpico. Spalletti e Igli Tare, poi Panucci, Mexes e Matuzalem: lunga è lista di chi costretto a lasciare il campo prima del tempo. La Lazio va in fuga, due reti in 3 minuti e 40 secondi (magie di Pandev e Zarate, la prima innescata da un angolo che non c’era), ma la Roma è viva. Mexes si improvvisa bomber e rimette in linea di galleggiamento la truppa giallorossa, poi un contatto nel cuore dell’area laziale fra Lichtsteiner e Baptista dà il via al primo affondo fuori le righe. «Uscendo dal campo all’intervallo mi sono avvicinato al signor Morganti per chiedergli come mai non avesse fischiato il rigore. Solo l’anno scorso, sempre con Morganti come arbitro, abbiamo perso un derby per un fallo in un’azione uguale quando Juan tirò giù Rolando Bianchi. Si è avvicinato Tare e...», racconta Spalletti. Una pausa e nel mezzo la svolta. «Mi ha mostrato il dito. Io - continua il tecnico della Roma - l’ho invitato a metterlo da un’altra parte. Il direttore di gara ci ha giustamente cacciati entrambi». Un dito di troppo, dunque. Come il legno che si mette fra Baptista e Muslera o il piede di Matuzalem a respingere sulla linea l’assalto di Brighi. Il derby vive su atteggiamenti in campo che vanno sempre più ad assomigliare a rese di conti, clima che sembra contagiare anche le tribune dove, in Tevere, le due tifoserie si fronteggiano in uno scontro che proseguirà, poi, a fine gara (due arresti e cinque denunce è il bilancio dei controlli effettuati dalla polizia). Delio Rossi è un pendolo, Spalletti chiuso in uno stanzino davanti alla tv assiste all’uscita a vuoto di Doni che apre la porta all’inzuccata di Lichtsteiner. Lazio in gloria, nervi a fior di pelle. Panucci viene espulso, stessa fine per Mexes e Matuzalem anche se il più vivace è Totti pronto a strattonarsi con gli avversari dopo che, nel primo tempo, aveva mandato a quel paese l’arbitro colpevole di avergli sbarrato la strada verso la porta (come la passata stagione ad Udine con i tre «vaff...» a Rizzoli con la differenza che stavolta Morganti è girato). La sfida è decisa. De Rossi prova a riaprirla con un colpo di testa velenoso a beffare Muslera, ma ci pensa una corsa senza freni di Kolarov (per lui una cavalcata solitaria da portiere a portiere) a mettere il sigillo finale. La Roma perde la bussola, il sorriso e la scia Champions. «Il quarto posto è ancora raggiungibile», commenta Spalletti ma con la tensione che accompagna la squadra il traguardo appare in salita. Con le due espulsioni di ieri, sono undici i cartellini rossi che pesano sui romanisti senza contare i due rossi di Spalletti. E, la Lazio? Delio Rossi può rivedersi in tv la partita della rinascita. Il suo futuro resta incerto (Giampaolo e Mazzarri i nomi per una possibile successione), ma vincere un derby così può far pendere la bilancia di nuovo dalla sua parte.

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