Gli spogliatoi del Rigamonti sono deserti, l’urlo di Mexes è un boato che squarcia il silenzio: «Ho preso la palla e fuori! Cazzo!». E’ un fiume in piena, Philippe. Si slaccia i capelli, allontana Menez che si è già fatto la doccia e cerca di calmarlo, prende a calci qualcosa che gli capita lì per caso, sbatte la porta e si chiude il mondo (il suo mondo, che sembra essergli crollato addosso) dietro le spalle. E piange. E si sente pure con la porta chiusa. Piange a dirotto, sembra non fermarsi mai. Impreca in francese, ma non c’è bisogno di un traduttore per capirlo. Qualche minuto dopo sono le lacrime di Julio Sergio a bagnare una serata nata male e finita peggio per la Roma. Sono due facce della stessa medaglia: tanto Mexes urla negli spogliatoi, tanto il portiere è silenzioso appoggiato al palo sotto la Nord bresciana che lo insulta, con la gamba che fa un male cane e il cuore che, forse, sta anche peggio. Non era, invece, la prima volta per Mexes: l’ultima era stata il 25 aprile, il pianto dopo Roma-Sampdoria divenne il simbolo dello scudetto sfumato e legò, ancora di più, il giocatore ai suoi tifosi. Ieri sera gli occhi lucidi del difensore francese erano accecati dalla rabbia per un rigore e un’espulsione che riteneva ingiusta: prima se l’è presa col guardalinee, poi col quarto uomo e con la protezione di gomma di una telecamera. Presa a calci, pure quella. Avrebbe distrutto tutto, Philippe, e anche per quello – dopo – piangeva: perché all’espulsione e al rigore ha aggiunto anche la frustrazione per la reazione avuta in mondovisione. La peggiore da quando indossa la maglia della Roma, secondo qualcuno. La più spontanea, secondo qualcun altro.
Il cartellino rosso l’aveva visto già altre volte, con quella di ieri sette in sei anni di Serie A. La prima, la più celebre, ci fu però in Champions League, il 15 settembre 2004, partita contro la Dinamo Kiev e monetina di Frisk. Da quel momento, solo nel 2006-2007 ha concluso il campionato senza essere espulso e questo deve far riflettere. Ci penserà su Philippe in questi giorni. Quando c’è stato bisogno di ammettere di aver sbagliato l’ha fatto e si è assunto le sue responsabilità, stavolta sarà diverso. Chiederà scusa per la reazione, parlerà con Ranieri, coi dirigenti, coi compagni soprattutto, che non lo lasceranno solo un attimo. Non l’hanno fatto ieri e l’hanno abbracciato. Non lo faranno mai perché Philippe è uno di loro. Bastava vedere certi sguardi al rientro negli spogliatoi per capirlo.
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