Sessant'anni li compie domani. Vasco Rossi, nato a Zocca (in provincia di Modena) il 7 febbraio 1952. Sull'appennino modenese i festeggiamenti per il rocker sono già iniziati l'altro ieri e proseguiranno per tre settimane. L'appuntamento clou però è domani, giorno del compleanno, con il Vasco Day la cui «regia» è affidata all'amico Red Ronnie. Red Ronnie ha pensato anche a una maratona web su Roxy Bar Tv dedicata ai 60 anni del cantautore e alla sua storia, musicale e non. In tv invece, sempre domani, va in onda su La7 il documentario «Questa storia qua», di Alessandro Paris e Sibylle Righetti, ambientato a Zocca e presentato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia. «Io non sono un cantante, né tantomeno un cantautore: sono una rockstar», proclamava fiero Vasco Rossi nel 1983 - l'anno di Vita spericolata - aggiungendo: «Il rock non è solo un genere musicale, ma un modo di vivere. Per me il rock è avere un manager coi Ray-Ban e i capelli lunghi, tenere i volumi delle chitarre molto alti, suonare delle sere bene e delle sere male, sesso, furgoni, automobili, e avere un gruppo veramente affiatato». Che Dio lo benedica per questo; e per non aver mai infarcito una sua canzone con una citazione di Pasolini, per non aver mai promosso benefit per le foreste pluviali e le Tigri del Bengala, soprattutto per non averci mai dato l'impressione di cantare qualcosa che non avesse realmente vissuto. È per questo motivo che ancora oggi gli stadi si riempiono per vederlo - sempre più grasso, sempre più pelato, sempre più brutto - con «l'anima che si arrende alla malinconia», come ammette nella recente Eh già - mentre trotterella sudatissimo, circondato da impalcature sempre più mostruose, da fari sempre più colorati... Potrebbe fare quasi pena, se non fosse che quando attacca a cantare: «Voglio una vita... la voglio piena di guai!» e tu gli vai dietro automaticamente, non puoi non pensare che il rock 'n' roll è proprio questo: non un genere musicale, ma l'adesione totale dell'arte alla vita. Rispetto a tanti altri colleghi ed epigoni - magari più belli, politicamente corretti e col broncio pensoso - Vasco ha qualcosa in più; e qualcosa è proprio la sua biografia (prima ancora che la sua discografia): il miglior romanzo sul rock che da queste parti sia stato mai scritto. Un'epopea di provincia, con un padre camionista che ha passato tre anni in un campo di concentramento e una madre che lo porta, ancora bambino, a cantare ai matrimoni; i primi abboccamenti col rock 'n' roll, grazie a Little Tony, il massimo dell'esotismo per uno che vive a Zocca («per noi - dirà - era l'equivalente di Elvis Presley»), le prime fughe, l'esperienza nelle neonate radio libere come dee-jay, la droga, l'alcol, le donne, l'alienazione; e poi, da questo crogiuolo, ecco spuntare inni punk-rock decisivi come Fegato, fegato spappolato , Colpa d'Alfredo e Siamo solo noi ; canzoni che da sole, con la loro disperata antiretorica, hanno sconvolto l'asfittico panorama della musica italiana e che oggi ci rendono indulgenti di fronte a certi cedimenti del Nostro, tipo le tirate via internet e l'annuncio di volerci dare un taglio. Ma, caro Vasco, non ti puoi dimettere da rockstar, nemmeno se lo volessi!
lunedì 6 febbraio 2012
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